“Cameriere, un bicchiere di vino, da bravo”. “Bianco o rosso?”. Immagino questo dialogo in un bardi metà anni 80. Il cameriere è un ragazzetto coi capelli corti davanti e lunghi dietro, il cliente porta una camicia sgargiante e aperta sul petto villoso. Cortina di ferro, Rocky che va a fare il mazzo a Ivan Drago in Unione Sovietica, in Italia i comunisti e i democristiani. Insomma, a quell’epoca era facile schierarsi da una parte o dall’altra. Come per il colore del vino. Adesso tutto è cambiato, ma sul colore del vino siamo rimasti più o meno lì. Bianco o rosso. E il rosato?
Secondo un recentissimo studio di Wine Monitor Nomisma l’Italia è il secondo produttore mondiale di vini rosati, ma riguardo il consumo siamo agli ultimi posti. Su 100 bottiglie stappate solo 4 sono rosè. Insomma una roba da calzolai con le scarpe rotte: nel mondo ci vedono come
fenomeni del settore, che è in grandissima crescita, ma in Italia non se n’è accorto nessuno. Curioso di capirne di più eccomi a “Italia in rosa”, nel decennale della più grande manifestazione del suo genere che si svolge all’esterno del castello di Moniga del Garda, capitale del Chiaretto. Parliamoci chiaro: andare a queste degustazioni è una gran figata. Prezzo di entrata simbolico, location da paura, produttori in gran spolvero che vogliono fare bella fi gura. Ma c’è sempre un però. Sei in un pomeriggio di inizio giugno e ci sono 30 gradi con un’umidità da Borneo. Sogni di presentarti armato solo di Ray Ban, bermuda, infradito e bicchiere da degustazione. Ma tu sei un appassionato, per giunta sommelier (da vigna) e quindi scarpe, pantaloni e camicia, e ritieniti fortunato che la giacca in queste condizioni è roba da Guantanamo. Ma basta con le cazzate, ci sono 100 produttori in fila con le bottiglie in fresco: si parte con le due squadre che giocano in casa e cioè il Valtènesi DOC e il Garda bresciano DOC. Il Groppello la fa da padrone, presente assieme ai compagni di merende Sangiovese, Marzemino e Barbera praticamente in tutte le bottiglie. Ho assaggiato con grande curiosità le varie proposte frizzanti, dominava il metodo Martinotti ma alcuni si sono lanciati anche nella fermentazione in bottiglia. Devo dire che il tentativo è interessante ma ho decisamente preferito le versioni ferme che sfruttano meglio le potenzialità di questa uva beverina. Sempre nel bresciano ho apprezzato nella zona di Botticinola proposta di Noventa che ottiene un vino strutturato e minerale da terreni marmorei: schiava gentile in purezza il vitigno.